Federico / Click / Maddalozzo / Colours
by Italo Zuffi

(in Lavori in corso, exhibition catalogue, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Monfalcone, 18 dec. 2004 - 6 feb. 2005, pag. 127-129.)


1. It has been said that an object is its representation. For example: a section of landscape. Or: a li pbelonging to a smiling face. Or (more often, more willingly): mechanical shells, resting.


Supporting the legitimacy of an object only if it is seen/perceived throught its reproduction. Possibly photographic. To freeze, to be able to place everything in a  refrigerator. Then, ask yourself how much t ogive to the tints, the tones, in relationship to the internal temperature, to preservatives and the materials used, etc, before their certain disintegration (thus their lifespan, their brief duration).

You may as well leave them in the open to decompose in peace, these same things.

Just there where they are.


I take responsibility for this unresolved ambivalence.


2. Today, in this moment, going along, I see the bridge, down low. A metal bridge, erected over the higway. A stretched out cube. Coloured blue. Hit with a cone of shadow cast by the mountain. Seeming to be a cyan blue brifge soaked in a Prussian blue shadow. Is there a place, a season and a time, and also my own state, in which it is possibile toh ave the clearest experience of that bridge?


I go into a room. The room is completely empty. Only in the centre, at the meeting point of all the diagonale, there is that bridge. I am immersed in a white light. Gettino out of the shower I put on new clothes and, having taken a few steps, I entered into this room filled with whites. I take a photo of the bridge with no flash, and one with the flash.

Or: I go into the same room, the bridge is still there in mid air, but this time the light is diffused, and to me the object seems almost to become dust. In this case, I put on shabby clothes, and my state is as if I had committed a crime for which I have no remorse and I am not ashamed. I watch the bridge diffuse itself under that minimal insufficient light. Before going out, I take a photo of the bridge with the flash, and a second one without.


I want to catalogue the infinite ways in which the bridge can be seen, perceived, remembered. Thus I ask myself if the condition of things is independent from my being, or not, in their presence. I ask myself without really wanting to know the answer.

The shades of colour of things, just like their forms, but not their uses, can sometimes become a plan, an abstract portino. For example: a ravine of chrome yellow. Or: a reflective metal sheet. Or: a painted wall to bounce off. Or: a bunch of colours to deposit in your bank account.

Thus I can play squash with the shades of colour of the world. The outcome of this game depends on a series of factors, amongst which: age, nutrition, physical form, mood, coordination, strength and conviction of movement.


I have understood: the room which allows the clear perception of my bridge is not an abstract place, but rather that same environment in which the bridge undergoes painting. There, a man uses his spray gun and covers it evenly. He wears a white suit and a mask. He carries out accurate movement, whiriling the chromed paint tank. At times he is surrounded by gusts of toxic monochromatic paint. He knows he is being observed, but the job makes him indifferent t outsider. The place seems aseptic, but is often crossed by blasts of compressed airt mixed with particles of colour.

At the end, the bridge wears a crystalline costume and, when the cooking is finished, I can thus return it over down low, inside a cone of shadow cast by the mountain.


Federico / Click / Maddalozzo / Colours
di Italo Zuffi

(in Lavori in corso, catalogo della mostra a cura di Andrea Bruciati, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Monfalcone, 18 dic. 2004 - 6 feb. 2005, pag. 127-129.)


1 . E’ stato detto: un oggetto e la sua rappresentazione. Per esempio: una porzione di paesaggio. Oppure: un labbro appartenente ad un viso che sorride. Oppure (più spesso, più volentieri): gusci meccanici a riposo.


Sostenere la legittimità di un oggetto solo se visto/percepito attraverso la sua riproduzione. Possibilmente fotografica.

Congelare, poter riporre ogni cosa dentro ad un frigorifero. Successivamente, domandarsi quanto tempo concedere alle tinte, ai toni, in rapporto alla temperatura interna, ai conservanti ed al suo supporto utilizzati, etc., prima del loro certo disfacimento (quindi la loro durata, la loro caducità).

Tanto varrebbe allora lasciarle decomporre in tutta tranquillità all’aperto, quelle stesse cose.

Esattamente la dove si trovano.

Di questa ambivalenza irrisolta mi faccio carico.


2 . Oggi, in questo momento, nel procedere, vedo il ponte, in basso. Un ponte di metallo, eretto sopra l’autostrada. Un lungo parallelepipedo. Di colore blu. Investito dal cono d’ombra proiettato dalla montagna. All’apparenza un ponte Blu Ciano, imbevuto di ombra Blu di Prussia.

Esistono forse un luogo, una stagione ed un’ora, ed anche un mio stato, in cui poter fare un’esperienza il più possibile limpida di quel ponte?

Entro in una stanza. La stanza si presenta completamente vuota. Solamente, al suo centro, all’incrocio di tutte le diagonali, quel ponte.

Sono immerso in una luce bianca. Uscito dalla doccia ho indossato abiti nuovi e, percorsi pochi passi, sono entrato in questa stanza pervasa di bianchi. Scatto al ponte una foto senza flash, e anche una con.

Oppure: entro nella medesima stanza. Il ponte è sempre lì a mezz’aria, ma questa volta la luce è fioca, e l’oggetto mi appare in maniera quasi pulviscolare. In questo caso, indosso abiti trasandati, ed il mio stato è affine a quello di chi avesse commesso un crimine di cui non portare rimorso, né vergogna. Osservo il ponte disgregarsi sotto a quella luce minima, insufficiente. Prima di uscire, scatto al ponte una foto con il flash, e una seconda foto senza.


Ho desiderio di catalogare le infinite modalità attraverso cui quel ponte può essere visto, percepito, ricordato. Mi chiedo quindi se la condizione delle cose sia indipendente dal mio essere, o meno, a loro presente. Me lo chiedo senza un autentico desiderio di risposta.

Le tinte delle cose, così come le loro forme, ma non i loro usi, possono a volte diventare uno schema, una porzione astratta. Per esempio: un anfratto giallo di cromo. Oppure: una lamiera riflettente. Oppure: una parete dipinta su cui rimbalzare. Oppure: una mazzetta di colori da depositare sul c/c.

Posso allora giocare a squash con le tinte del mondo. Il risultato di questa partita dipende da una serie di fattori, tra cui: età; alimentazione; forma fisica; umore; coordinamento; forza e convinzione del gesto.


Ho inteso: la stanza che consente la percezione limpida del mio ponte non è luogo astratto, ma piuttosto quello stesso ambiente in cui il ponte è posto a verniciatura. Là, un uomo aziona la pistola a spray e lo riveste uniformemente. Indossa una tuta bianca ed una mascherina. Esegue movimenti accurati, roteando il serbatoio cromato. A tratti è avvolto da folate di pittura velenosa e monocroma. Sa di essere osservato ma il mestiere lo rende indifferente agli estranei. Il luogo appare asettico, ma spesso attraversato da scariche di aria compressa miste a particelle di colore.

Nel finale, il ponte indossa una veste cristallina e, ultimata la cottura, potrò quindi ricollocarlo laggiù, in basso, all’interno del cono d’ombra proiettato dalla montagna.